2019RTOTrefoloniLa serata del 28 gennaio sarà ricordata a lungo nella sezione di Lucca grazie alla lezione tenuta dal responsabile della CAN D Matteo Trefoloni. Nonostante i suoi numerosi impegni associativi lungo tutto lo stivale (e anche oltre), Matteo ha risposto, con il suo solito generoso entusiasmo, all’invito del presidente di sezione Antonello Ruffo a tenere una lezione nella sua toscana. Le stanze e la sala riunioni sezionale sono state affollate, oltre che dai numerosi associati lucchesi, anche da una nutritissima compagine di arbitri, assistenti ed osservatori delle altre sezioni toscane inseriti, insieme ai sette lucchesi, nei ruoli CAN D; ad essi si sono uniti anche i presidenti sezionali di Carrara, Pontedera e Viareggio. A fare gli onori di casa, oltre a Ruffo, il presidente della CRA Toscana, il “nostro” Vittorio Bini, che non poteva far mancare la sua presenza in una serata come questa. Trefoloni non ha smentito la sua fama di sapiente motivatore ed istruttore arbitrale. Nella serata lucchese non ha inteso affrontare tematiche tecniche ma focalizzare la sua esposizione, anche grazie all’uso di video, offrendo spunti di riflessioni, basati dalla sua esperienza come arbitro prima e come dirigente poi, ai “suoi” ragazzi e ai giovani colleghi lucchesi che ancora stanno svolgendo il loro impegno nelle categorie regionali e provinciali. Numerosi e importanti i messaggi che ha dato: primo fra tutti l’essenzialità di capire come nell’arbitraggio siano ininfluenti, per il raggiungimento dei propri obiettivi, le condizioni al contorno, che portano a dare un peso fuorviante all’immagine esterna e ad altri aspetti materiali; quello che serve ognuno deve averlo dentro di sé, nel proprio cuore.

Facendo riferimento alla propria esperienza Trefoloni ha invitato i ragazzi a considerare come la didattica tecnica arbitrale sia cambiata in questi anni, arrivando ai livelli attuali in cui le immagini delle gare sono diventate una normale fonte d’informazione e di conoscenza tecnica; di ciò le nuove leve devono sentirsi fortunate; fino a non molti anni fa tutto ciò era impensabile, eppure l’AIA è riuscita a formare grandi arbitri anche in passato; quelli arbitri possedevano una caratteristica indispensabile e primaria: avevano FAME di arbitraggio, anelavano conoscenza, credevano in quello facevano, avevano il giusto atteggiamento verso la propria attività. I giovani colleghi di adesso, sia quelli a livello nazionale sia i più giovani, non devono e non possono permettersi di aspettare che qualcuno gli fornisca il risultato già pronto affidandosi totalmente alla migliorata qualità didattica attuale. Matteo ha usato una metafora efficace: non si può attendere al tavolo l’arrivo di un piatto cucinato da altri; dobbiamo essere in grado di conoscere e controllare tutto il processo che sta alla base della sua realizzazione, dalla qualità degli ingredienti da utilizzare, ai modi corretti per prepararlo, fino all’effettivo risultato finale che per un arbitro è rappresentato dal portare a termine la gara in modo ottimale. Un arbitro deve avere cura di farsi carico e dominare l’intero percorso, basato su conoscenza, didattica, esperienza fino alla “produzione” della propria gara, essa non sarà altro che il risultato del “bagaglio” di conoscenza, atteggiamento e impegno che ognuno porta con sé andando ad arbitrare. Arbitrare è una sfida a due, in cui è necessario avere chiaro che l’arbitro è l’elemento apparentemente più debole, il vero gigante è l’avversario: la gara stessa. Essa rappresenta un avversario che deve essere vinto grazie alla voglia e alla convinzione di riuscire a farlo; perciò è necessario mantenere un elevato livello di sana tensione mantenendo al contempo il controllo delle proprie emozioni e della paura, amica/nemica di ogni arbitro che lo accompagna fino al momento del fischio d’inizio. Ognuno troverà il proprio modo di affrontare queste emozioni raggiungendo il personale punto di equilibrio ma, sempre, avendo il “cuore in gola” per la sfida che uno si appresta ad affrontare andando al centro del terreno di gioco. La conclusione della “lezione di vita” arbitrale, Trefoloni l’ha riservata al concetto di appartenenza associativa; ognuno deve coltivare il proprio aspetto associativo, avendo consapevolezza che il risultato di un singolo è sempre stato, e sempre sarà, il frutto di un lavoro collegiale che ha il proprio fulcro, e origine, nella Sezione Arbitrale; culla di ognuno di noi e vero pilastro della famiglia AIA. Consapevolezza che deve spingersi fino al punto di capire quanto ciò che il singolo ha avuto dalla Sezione (in termini di conoscenza, cura e considerazione) nel momento crescente della esperienza arbitrale debba poi ritornare verso essa, trasferendo le proprie esperienze alle giovani generazioni, quando la propria parabola associativa cambierà fisiologicamente direzione. Non capita spesso di avere la possibilità di percepire tanta qualità nei consigli e nei concetti espressi da un relatore; Matteo Trefoloni ha sicuramente rappresentato un punto di riferimento in tal senso, con la sua lezione di alto profilo tecnico ed umano, per cui l’intera platea gli ha tributato, nel salutarlo, un caloroso applauso. Grazie Matteo!!

Luca Cesaretti